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Chieti 

Chieti è la città dove sono nato e dove ho vissuto 18 anni e otto mesi della mia giovinezza

Villa Comunale

, 1949, Chieti

 

L'Europa e l'Italia, in quel lontano 1949, non voleva certamente tornare alla guerra. Dai campi di prigionia rientravano ancora i soldati della passata Guerra, finita nel 1945. Chieti era ancora capace di salutare il ritorno dei suoi soldati, alla caserma di Sant'Anna, che con la loro giovinezza restituivano la baldanza della "naja" ad un esercito che già gli alti comandi avevano umiliato e offeso con la loro codarda ignavia l'8 settembre. C'era tutto da ricostruire, mancava tutto e quel poco ci veniva dato dall'America, ricca e opulenta, che dopo averci liberato dal giogo fascista, adesso ci ingrassava col suo formaggio nelle "buatte" più grosse di quelle usate per contenere le vernici. E' l'inizio di un periodo spensierato e si moltiplicano i concorsi di miss, le ragazze si scoprono le spalle e il ventre, è l'anno del bikini, siamo nel 1952 io ho gia cinque anni. Le donne, almeno secondo le figure che si vedono sui giornali che la zia Anna presta a mamma da leggere, con le avventure di Rasputin a puntate, finalmente, quasi come una sfida di provocazione, compaiono sulle pedane delle sfilate di moda con i calzoni, dando per anni spunto a infinite discussioni da bar e osterie, attorno al tema: "La donna con le 'braghe' è una donna poco donna o una donna poco seria?". Discussioni inutili, come quelle sul bikini, anche questa una vera e propria rivoluzione. Il calzone è entrato nell'abbigliamento femminile e non ne è più uscito.


 

Chieti, Via Arniense, il tranvai

 Erano le suore le grandi registe, nei cinema da loro proiettati, si vedeva solo le azioni di Don Bosco e dei preti che seguivano i suoi insegnamenti, sulla strada del bene per il prossimo, delle processioni anche di quella del Corpus Domini, o almeno per quanto riguardava noi ragazzi. All'asilo della Civitella, nel corso dei mesi primaverili si elaboravano precise gerarchie fra i fanciulli per partecipare alla processione; occorreva essere docili, "cocchi" e sopratutto "biondini" per poter avere il

privilegio di indossare un paio di "alucce" da angioletto o vertice supremo una autentica aureola. Chi faceva tutti i fioretti, poteva tutt'al più incaricato di spargere i petali di rose diligentemente raccolti nei giorni precedenti la festa dai più turbolenti. Gli uomini delle confraternite con le loro pesanti tuniche color vinaccia, gli stessi preti, avvolti nei paramenti broccati, a noi bambini, apparivano come un necessario contorno. Noi ci ritenevamo al centro dell'attenzione. Veri protagonisti erano i cento violinisti e i cento cantori del "Miserere" che sfilavano ordinati nelle loro divise scure, nella via e con la loro voce e la loro musica facevano rimbombare le strade della città. Come le processioni, non meno importanti, erano i funerali.

Io ho avuto modo di viverlo per la prima volta quando morì la mia adorata nonna Leontina Nacci. Questa era la mamma adottiva del mio papà, morta per un tumore al seno. In quegli anni disperati erano, simili malattie, praticamente una condanna, bisognava solo aspettare. Quel giorno aveva piovuto tantissimo e la strada era fangosissima e alla "costa" gli stivali affondavano fino alla caviglia. Tutto il quartiere si fermava nell'occasione del funerale e compatto rendeva omaggio alla salma fin dalla notte precedente facendole il segno della croce con un crocefisso poggiato sul suo addome. La bara veniva portata a spalle per un lungo tratto, dalla Madonna della Vittoria fino alla Piana Vincolato dove si poteva vedere il primo tratto di strada "abbrecciata". Da quì lentamente, a piedi dietro il furgone, fino al cimitero di Sant'Anna, "alloche ju appite", na scarpinata di una buona mezz'ora. La contrada vive ancora insieme attorno ai suoi uomini e alle sue cose. Quanti ricordi in quella casa, tutta la mia fanciullezza è passata di là.


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